In riferimento alla sentenza n. 10175/2020, la Corte di Cassazione Sez. IV penale di esprime in merito alla responsabilità medica per omissione, dunque all’accertamento del nesso causale relativamente al giudizio controfattuale essenziale per determinare in quale misura si possa determinare l’incidenza salvifica di cure omesse da parte del medico, operando un giudizio di alta probabilità logica prendendo in riferimento non solo gli accertamenti scientifici ma considerando le condizioni di salute del paziente, quindi nel caso concreto.
La Suprema Corte ha chiarito che in materia di responsabilità medica, il rispetto delle linee guida presenti presso la comunità scientifica non determina, di per sé, l’esonero dalla responsabilità penale del sanitario ai sensi dell’art. 3 del d.l. 13 settembre 2012, n. 158 (convertito in legge 8 novembre 2012, n. 189), dovendo il sanitario di volta in volta accertarsi se le condizioni cliniche del paziente imponessero un percorso terapeutico differente rispetto a quelle enunciate dalle predette linee guida.
Nel caso di specie un medico in servizio presso il reparto di cardiologia, viene condannato per omicidio colposo ai sensi dell’art. 589 del codice penale, oltre al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili, in primo e in secondo grado. Nella fattispecie in esame il medico cagionava il decesso della paziente a causa di insufficiente cardiocircolatoria acuta da trombo embolia polmonare massiva per trombosi venosa profonda, con colpa consistita in imprudenza e negligenza, in particolare modo nell’omessa prescrizione e somministrazione di adeguata terapia, la quale se fosse stata tempestivamente somministrata alla paziente, avrebbe potuto evitare il decesso.
Avverso la sentenza pronunciata in primo grado e confermata dal giudice in appello, il medico imputato proponeva ricorso per Cassazione deducendo molteplici motivi, tra i quali occorre soffermarsi sui primi tre poiché ritenuti fondamentali per comprendere il rigetto della Cassazione ad un giudizio che non tenga conto delle condizioni fisiche del paziente nel caso concreto, ma che si limiti al mero rispetto delle linee guida dell’ente sanitario di riferimento, quindi omettendo di anteporre il bene ‘’vita’’ del soggetto paziente, ma conferendo precedenza alle linee guida, considerate mere raccomandazioni:
Il primo motivo fa riferimento alla lacuna motivazionale in appello circa la causa del decesso. Secondo il ricorrente non si poteva escludere che l’evento morte fosse dovuto ad un’embolia autoctona della vena cava invece che ad una trombosi venosa profonda degli arti inferiori, quindi da un evento imprevedibile ed inevitabile, rimarcando la non correlazione a una condotta omissiva da parte del sanitario;
Con il secondo motivo, il ricorrente rammenta una carenza di motivazione ed errata interpretazione dell’art. 40 del codice penale, in quanto il ricorrente sottolinea la sua assenza di garanzia nei confronti del paziente, quanto piuttosto di aver assunto una posizione di mero consulente sulla base del suo contratto di lavoro;
Con il terzo motivo, il ricorrente presenta vizio motivazionale e inosservanza degli artt. 40, secondo comma, e 590 del codice penale, per mancata applicazione di un necessario giudizio contro-fattuale e con quali probabilità la terapia avrebbe potuto scongiurare l’evento.
La Corte di Cassazione rigetta il primo motivo, ritenendo corretta l’individuazione da parte del Giudice di secondo grado sulla causa del decesso, in quanto ritenuta prevedibile ed evitabile. Riguardo al secondo motivo, la Corte ha considerato la posizione detenuta dal medico nei confronti del paziente, come indipendente rispetto al tipo di rapporto contrattuale, e che quindi sussiste sempre un’assunzione diretta da parte del sanitario di una posizione di garanzia nei confronti del paziente, in virtù di comprendere le patologie esistenti e sulla possibile esistenza di eventuali condizioni di rischio. Nello specifico la Corte richiama un noto principio secondo il quale la posizione di garanzia può essere generata non solo da investitura formale, ma con l’esercizio delle visite quotidiane del paziente e la gestione dello stesso, assume quindi nei suoi confronti una garanzia di fatto, il quale si traduce nella presa a carico del bene protetto (Cass. Pen. Sez. IV, sent. n. 37224/20219). Viene accolto, invece, la terza doglianza avente ad oggetto il vizio motivazionale e inosservanza dell’art. 40 del codice penale, in ordine alla sussistenza del nesso di causalità, affermato in assenza di adeguato giudizio contro-fattuale, utile a valutare se la somministrazione di una terapia avrebbe potuto evitare l’evento lesivo.
Nello specifico, la pronuncia si inserisce in una giurisprudenza ormai consolidata circa l’accertamento del nesso di causalità, nel merito la corte ritiene di dover affiancare all’analisi della patologia accertata in capo al paziente, le diverse terapie adottabili e il grado di efficacia delle stesse, in virtù delle quali, il nesso causale può ritenersi sussistente sulla base dei due aspetti appena citati, nel momento in cui viene omessa la possibilità di applicazione di una terapia e i suoi relativi effettivi positivi in capo al paziente, sulla base di un giudizio di alta probabilità logica, non solo affidandosi a dettami scientifici predeterminati in base a meri dati statistici, quanto si presume la necessità di adattarsi alla condizione del paziente nella sua situazione reale, al fine di garantire la primarietà della salute dello stesso.
Si pone l’attenzione alle cd linee guida, per definizione ‘’raccomandazioni di comportamento clinico elaborate mediante un processo di revisione sistematica della letteratura e delle opinioni degli esperti’’, le quali si pongono il fine ultimo di garantire la migliore assistenza possibile, ai sensi del d.l. 229/99 che vincola ‘’ l’erogazione dell’assistenza, dei servizi, e delle prestazioni sanitarie da parte del SSN a prove scientifiche di significativo beneficio in termini di salute.
Al piano Sanitario Nazionale è affidato il compito di indicare un primo gruppo di linee guida e i relativi percorso terapeutici’’; inoltre il Piano Nazionale 2003-05 afferma i servizi fondamentali ed essenziali come ‘’accettabili sul piano sociale nonché tecnicamente appropriati ed efficaci’’.
Sulla base dei programmi della sanità nazionale, si delinea la necessaria condotta che ciascun sanitario è tenuto a perseguire nel rispetto delle cd linee guida, che non si limitino all’accertamento della condizione momentanea di salute in cui versa il paziente, ma che richiama la doverosità di valutare sulla base del caso concreto, una eventuale evoluzione della patologia, e sulla base della sua gravità, l’applicazione in ultima istanza di una terapia. In tal senso diverse sentenze della Corte di legittimità di sono espresse richiamando la non vincolatività delle linee guida, sempre nel rispetto nel caso concreto.